CI
DEVE PUR ESSERE UN EPILOGO
Nella mente di un uomo.
“Non hai proprio nulla da dire, Banner?”.
“Cosa dovrei dire esattamente, Fixit?”.
“Andiamo, non fare il finto idiota. Ora sei tu la parte dominante, hai messo da
parte persino il Professore e ci adoperi a tuo uso e consumo”.
“E’ stato solo un inevitabile processo. Un cambiamento”.
“E credi davvero che potrai tenere a lungo unita la tua psiche così
frastagliata?”.
“Quantomeno ci proverò”.
Arizona.
Dalla veranda si vede un paesaggio incantevole: a pochi metri di distanza
c’è un lago, un lago blu come il cielo e pescoso. Qualcuno non esagera più di
tanto dicendo che basta gettare la lenza per abboccare. Dietro questa
meraviglia della natura c’è una montagna la cui cima rimane innevata per 365
giorni all’anno. Non è raro vedere aquile sorvolare questa zona. Un piccolo
angolo di paradiso… il giusto luogo di riposo per un vero eroe di questa
nazione.
Thaddeus ‘Thunderbolt’ Ross, ex generale dell’aviazione, caduto vittima delle
sue stesse passioni. Vittima del suo affetto infinito per sua figlia Betty, per
la quale è andato contro i suoi superiori. E così gli sono stati tolti i gradi
ed è stato costretto a ritirarsi. Non è una zona molto popolosa, c’è un ufficio
postale a breve distanza da qui, da cui può ritirare la sua pensione. Per il
resto solo qualche baita sparsa qua e là e vicini poco curiosi. Meglio così.
Ross osserva il lago per alcuni minuti, poi torna nella sua baita. Si guarda
bene intorno prima di chiudersi la porta alle spalle, poi apre una botola e
scende in una sorta di cantina fortemente illuminata. Un locale che pare essere
bloccato a molti decenni prima, in cui stona una leva incassata in un muro.
Ross tira quella leva ed una porzione di muro si ritrae, per portare avanti una
capsula contenente un corpo umano.
“Ho rischiato tutto per te, figlia mia” dice l’ex generale al vuoto “E non
intendo arrendermi ora. Ci deve essere un modo per riportarti in vita, ne sono
certo. Io stesso sono tornato dal mondo dei morti. Troverò quel modo, a
qualsiasi costo”.
New Mexico. Il giorno dopo.
Le formule passano davanti ai suoi occhi, ma la sua mente non riesce ad
immagazzinarle: per via della stanchezza? Lo stress? O forse c’e’ qualcos’altro
sotto? Qualcosa che non riesce ad intuire o… a confessare a sé stesso?
Bruce Banner si sente molto stanco e non sa spiegarsene la ragione. Per un anno
Hulk è stato lontano dai riflettori ma quando è ricomparso è stato più presente
che mai. E questo nonostante abbia lui il controllo della creatura. Si domanda
se non sia per lui come una droga, qualcosa di cui non possa fare a meno. O
forse è solo un modo per lavare i peccati della propria coscienza, per
dimenticare Betty, Rick, il Generale Ross, Abominio… o Charlie Colon, la sua
prima inconsapevole vittima. Da quando quella memoria gli è tornata, il suo ex
compagno continua a perseguitarlo nei suoi sogni. “Scherzi del tuo inconscio”
gli ha detto il Dr. Samson. Forse. O forse la spiegazione è un’altra.
Vorrebbe ritrovare Charlie, provare a chiedergli scusa, sempre che lui sia in
grado di sopravvivere all’incontro. Ma per quante ricerche abbia fatto non è
riuscito a trovarlo: sa che è in qualche istituto, ma nemmeno Samson coi suoi
agganci è riuscito a scoprire quale.
“Ora basta pensare a queste cose” dice lo scienziato a voce alta “Torniamo ad
occuparci di questi calcoli”.
Non ha ancora terminato questa frase che la sente: una vibrazione nel terreno,
debole e passeggera. Non ci fa caso inizialmente. La cosa cambia quando la
vibrazione si ripete, facendosi molto più forte. Poi tutto comincia a tremare,
è come se il mondo fosse stato messo fuori fase. Ed infine qualcuno penetra nel
suo bunker apparentemente impenetrabile. Bruce non ha tempo di capire chi sia,
i suoi occhi registrano solo un fugace lampo grigio. La figura passa da parte a
parte e ripete un paio di volte il processo. E così tutto crolla sullo
scienziato.
Portatosi all’esterno, Rhino ammira il panorama di distruzione che ha creato.
Non dice niente, c’è una sorta di ghigno sul suo volto e bava cola dalle sue
labbra. Si avvicina e sale in cima al mucchio più alto di detriti: qui alza una
mano al cielo e con un urlo che ha ben poco di umano proclama il suo trionfo al
mondo.
Un trionfo prematuro: dal mucchio di detriti emerge una mano grigia, che
afferra il rinoceronte umano per una caviglia scaraventandolo via. E Joe Fixit
ritorna dall’apocalisse. “Ok, amico, ora mi hai fatto proprio incazzare”.
“Come ti definiresti?”.
“Mantieni le distanze con me, Mesmero. Io sono a te superiore. Usa il Lei”.
“Sarai superiore a me… chiedo scusa… sarà a me superiore, ma senza di me ora si
troverebbe da tutt’altra parte”.
“E' tutta una questione di prospettive. Vedi, in questo momento ognuno di noi
due sta cercando di sottomettere l’altro coi propri poteri: sappiamo benissimo
che nessuno riuscirà a prevalere, eppure ci sentiamo obbligati a farlo fino
alla fine. E' la maschera che indossiamo, quella maschera celebrata in tante
opere letterarie e teatrali. Una maschera che in questi ultimi anni mi ha
soffocato, ha compresso le mie potenzialità. Voglio liberarmi di questa
maschera”.
“Se intende farlo come mai oggi è ritornato ai vecchi metodi?”.
“Un ultimo, dolce sapore di trionfo prima delle mie nuove conquiste”.
New Mexico.
Rhino non dice nulla e carica a testa bassa. La sua velocità è
impressionante. Fixit afferra il suo corno, provando a spezzarglielo, ma non ci
riesce. Rhino continua a battere i piedi sul terreno, come se non si accorgesse
degli ostacoli che ha di fronte: la sua carica fa indietreggiare, lentamente ma
inesorabilmente, Joe Fixit.
“Ehi, hai preso dei cereali stamattina, testa di cornuto?” lo canzona il
pellegrigia. Rhino non gli risponde. “Ehi, la tua rinocerontina ti ha mangiato
la lingua?”. Ancora una volta Rhino non ribatte. “Insomma, non hai niente da
dire?”.
In effetti qualcosa ce l’ha. Un urlo inumano, con cui scarica tutta la sua
rabbia nei confronti di Hulk. La bava ricopre le spalle di Fixit.
Istintivamente si ritrae e Rhino lo centra al petto. L’eroe rotola
all’indietro. “Mi sa che ho proprio sbagliato approccio” pensa.
“E tu, Mesmero? Non vuoi liberarti della tua maschera? Non vuoi aspirare a
qualcosa di più alto?”.
“Mi sono già liberato della maschera e dei miei limiti. Voglio conquistare
l’AIM”.
“E che te ne fai di quei balordi? Sprecano solo un mucchio di brillanti
cervelli”.
“Allora farò in modo che non siano più considerati balordi. E… credo che un
giorno i nostri obiettivi entreranno in conflitto ed uno di noi ucciderà
l’altro”.
“So già quale sarà l’esito finale”.
“La pensi come vuole, io non me ne preoccupo”.
“E non vuoi prenderti proprio nessuna soddisfazione?”.
“Sono un essere umano, dopotutto. Qualcosa contro l’Uomo Ragno, magari gli
X-Men: ci sono tante di quelle formazioni che c’è un’ampia scelta”.
“Alla fine ognuno è prigioniero dei propri clichè”.
New Mexico.
Mentre ancora deve terminare di rotolare all’indietro, Hulk cambia forma.
Però non vuole cedere al suo lato più selvaggio, è certo di poter vincere
questa battaglia senza affidarsi al suo lato oscuro, al lato distruttivo. Così
a rialzarsi dal terreno è il Professore, che vede venire contro di sé Rhino.
Adesso non tratterrà più i colpi.
Hulk tira all’indietro il suo pugno e lo scaglia con tutta la forza che ha
contro il volto del rinoceronte umano, che si blocca sul posto. Ma non cade
all’indietro, non sviene, non pare dare segni di cedimento. Il Professore
ritira il pugno e vede un Rhino intontito, con gli occhi fuori dalle orbite ed
il naso sanguinante. Prova a sferrare un altro colpo ma il suo avversario,
sorprendendolo totalmente, lo trapassa col corno alla spalla destra.
Il Professore urla e si rifugia nella parte più nascosta della sua mente per
sfuggire al dolore. Se cede al dolore, apparirà l’Hulk Selvaggio. Sarà come
Rhino. Ha visto il suo distacco dalla realtà, odia quel tipo di sensazione. E
così, con un tremendo sforzo, il Professore toglie dalla sua spalla il corno di
Rhino e torna a tempestare di colpi il criminale. Prova a trattenere la sua
furia e per lunghi istanti ci riesce anche. Rhino finalmente barcolla,
indietreggia.
“Cadi, figlio di puttana!”. Sta di nuovo cedendo, non può permetterselo, ce
l’ha quasi fatta.
Un altro colpo, l’ultimo, e finalmente Rhino è a terra. Ma Hulk non ha finito
con lui: lo afferra e sbatte più volte il suo volto contro il terreno. Poi, il
viso una maschera di sangue, gli urla praticamente contro. “Ed ora dimmi
perché! Perché lo hai fatto?”.
“Ahh… Hulk… Ahhh”.
“Parla, parla, dannazione!”.
“Hulk, ti ho sempre odiato” dice Rhino prima che un ennesimo pugno lo faccia
piombare nel mondo dei sogni.
“Ormai la sua pedina sarà stata sconfitta”.
“Non aveva speranze, del resto, Mesmero. Lo ha battuto persino l’Uomo Ragno
poco tempo fa”.
“Mi dica, cosa ha provato nel giocare con la sua mente?”.
“Non faccio certe cose per divertimento. Rhino era un soggetto disponibile e,
cosa più importante, sprovveduto. Non ha mai capito davvero cosa avevo in serbo
per lui. Come ai vecchi tempi: un po’ più rozzo, magari, ma efficace”.
“E dunque è soddisfatto… Mr. Sterns?”.
Il Capo riflette.
Argentina.
A cosa è disposta una persona per il bene dei propri cari? Quanto in basso è
disposta a spingersi? Sarebbe capace di andare contro quei principi che lo
hanno guidato per tutta la vita? Nel caso di Thaddeus Ross, la risposta a
quest’ultima domanda è indubbiamente sì, soprattutto se si parla di sua figlia
Betty. Lui non conta nulla, può anche andare in prigione a vita, ma lei deve
tornare a vivere. Speranza, illusione o follia?
Sono ipotesi che non si pone nemmeno, per il suo stesso bene, mentre in una
taverna polverosa e piena di ragnatele sorseggia senza assaporarlo un drink dal
nome impronunciabile. Sta aspettando un incontro e quel momento non si fa
attendere.
“Lei è il Generale Ross?” si avvicina una persona dall’aspetto elegante, in
netto contrasto con l’ambiente circostante.
“Non più Generale da un po’ di tempo” risponde l’uomo. Fa per tendere la mano,
ma il suo interlocutore si guarda bene dallo stringerla “E’ lei la persona che
stavo attendendo?”.
“Venga con me”. Ross appare titubante. “Non abbia paura, non le capiterà nulla
di male. Cosa ne ricaverei?”.
Thunderbolt si alza dalla sua sedia, paga il conto ed esce dalla taverna. Sale
poi a bordo di una jeep, che l’uomo misterioso inoltra nelle profondità della
foresta.
“Arriveremo tra circa mezz’ora” annuncia.
“Lei dipende da qualcun altro?”.
La domanda di Ross non trova risposta ed il resto del viaggio trascorre in un
silenzio innaturale. Alla fine la jeep si ferma davanti a quello che sembra un
tempio, dall’architettura ignota. “Venga con me” dice l’uomo misterioso.
L’interno è decisamente diverso da un luogo di culto. Avveniristici macchinari,
computer dell’ultima generazione, provette e molto altro.
“Non avete paura che qualcuno vi scopra?” chiede Ross.
“Il mio padrone è così potente che la gente non osa nemmeno avvicinarsi di un
chilometro da queste parti” conclude l’uomo prima di svanire dietro una porta
girevole “Lei aspetti qui”.
E l’attesa si rivela snervante, pur durando solamente cinque minuti. Infine una
porzione di muro si fa da parte, per permettere l’ingresso di una figura
dall’aspetto grottesco, eppure probabilmente l’unica in grado di aiutare
Thaddeus Ross.
“Sì, la riconosco, dai rapporti che ho letto” dice l’uomo “Lei è Arnim Zola, il
genetista”.
“Mi occupo di altri campi scientifici oltre a quello” afferma Zola “Però credo
che a lei questo non interessi. Ho letto le informazioni che mi ha dato: è
stata davvero una sfida interessante per il mio intelletto”.
Ross quasi si fionda in avanti. “E c’è qualche speranza?”.
“Vede, sua figlia è stata avvelenata in modo letale da radiazioni gamma e lei
l’ha posta in una sorta di stasi. Così non permette al suo corpo di deperire e,
se in futuro dovesse trovarsi una cura, lei potrebbe tornare a vivere. Una cura
che comunque non è ancora alla portata della scienza ordinaria”.
“La smetta di parlare per enigmi. Lei ce l’ha fatta o no?”.
Zola estrae una piccola provetta e stavolta Ross si lancia davvero in avanti.
Il genetista lo blocca bruscamente. “Ed ora mi ascolti bene. Non sono solito
ammettere queste cose, ma potrebbe non funzionare. Se lei mi permettesse di
esaminare il corpo di sua figlia…”.
“Mai, non permetterò che le sue luridi mani la insozzino”.
“Ed allora faccia come crede. E sappia questo: inserisca questo liquido
all’interno di una siringa e lo faccia penetrare nelle vene di sua figlia.
Questo al 90% decreterà la sua morte senza più alcuna speranza”.
“C’è un 10% di successo, però”.
“Certo. E lei vuole davvero correre questo rischio? Faccia pure, non mi
interessa. Sarà lei che l’avrà sulla coscienza e diversamente da me ne rimarrà
devastato”.
“Quanto le devo?” taglia il discorso Ross.
“Nulla. Assolutamente nulla. Mi basta sapere il fatto che una persona come lei
ha fatto un patto col diavolo e per questo rimarrà segnato a vita”.
“Sì, Mesmero, sono soddisfatto dopotutto. Soprattutto perché chiudo un
capitolo importante della mia vita e ne apro uno altrettanto importante”.
“Dunque ci rivedremo”.
“Sì, i nostri sono obiettivi in collisione. Ma non aspetto con ansia quel
giorno. Solo una domanda rimane senza risposta: ora che ho deciso di rinunciare
alla mia ossessione per Hulk, chi prenderà il mio posto come suo peggior
nemico?”.
Ravencroft Asylum.
Una donna con gli occhi stanchi esamina alcune carte, con attenzione, poi le
posa sulla sua scrivania, togliendosi gli occhiali. Per poter guardare meglio
in faccia il suo interlocutore.
“Sono felice dei progressi che abbiamo compiuto in questi ultimi mesi, Charlie.
Quando sei entrato qui, lo confesso, mi sembravi un caso senza speranza. Però
non sono una persona che si arrende così facilmente e col tempo ho trovato un
modo per arrivare a te”.
“Anch’io sono felice e la ringrazio, dottoressa Kafka. Certo, ho ancora molta
paura del mondo esterno, ma sono certo che col suo aiuto tornerò lentamente
alla normalità”.
“Sì, è anche la mia convinzione. Ora chiamo Edward perché ti riporti…”.
“No, non è necessario: non sono un paralitico. So dove si trova la mia stanza”.
Ashley prova un azzardo e tende la sua mano, ma Charlie non gliela stringe, non
è ancora il momento. Torna dunque nella sua stanza, priva di qualsiasi
ornamento o arredamento eccettuato alcuni sanitari. Qui disegna e legge, non ha
altre attività. Però ha un obiettivo in mente: uscire un giorno da qui ed
affrontare la sua più grande paura. Affrontarla e distruggerla.
Ci vorrà molto tempo, perché tale paura ancora non osa nemmeno nominarla, ma
quel momento arriverà. Un giorno Charlie Colon sarà un uomo libero.
New Mexico.
Bruce Banner osserva le macerie di quello che fino a ieri era il suo rifugio: è stato uno sciocco a sperare che durasse. Ha recuperato quanti più oggetti possibile e li ha infilati in un sacco. Se lo carica sulle spalle ed inizia a camminare, ma prima lancia un ultimo sguardo alle sue spalle. Alla sua vita appena finita. Non importa cosa faccia o si proponga: Hulk sarà sempre accanto a lui e fino ad allora Bruce Banner camminerà da solo.
Nella mente di un uomo.
“Dunque è questo il risultato finale, Banner? Siamo tornati sostanzialmente
al punto di partenza?”.
“Le risposte non sono mai semplici, Fixit…”.
“D’accordo, però… cosa ne sarà delle esperienze che hai avuto in questi ultimi
tempi? Verranno dimenticate?”.
“Questo non posso dirtelo, soprattutto perché non dipende solo da me. Tuttavia
ogni uomo viene forgiato dagli avvenimenti della vita: adesso sono solo, però”.
“E Ross? Rick Jones? Betty?”.
“E' probabile che non li riveda mai più”.
“Che finale del cavolo!”.
“Ci deve pur essere un epilogo, no?”.
FINE